Il lavoro in appalto ha come caratteristica principale quella di avere come ambito il completamento del lavoro, ossia il risultato finale. La ditta che lavora in appalto, quindi, è tenuta a completare l’opera entro i tempi stabiliti e, se presente, al prezzo pattuito. Non viene pagato, quindi, il lavoro, viene pagato il risultato. Il Codice Civile, infatti, descrive l’appalto nell’articolo 1655: “L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
Esistono due tipi di appalto: l’appalto d’opera (ad esempio la costruzione di un immobile) e l’appalto di fornitura di servizi (ad esempio un appalto per le pulizie).
L’appaltatore gode di ampia libertà nell’organizzare il suo lavoro, ne accetta il rischio economico non potendo sapere con esattezza quanto costerà il lavoro finito. L’appaltatore, inoltre, è responsabile per i danni prodotti a terzi e per l’inosservanza di leggi civili e penali.
Nel caso di appalti pubblici – ossia tra la Pubblica Amministrazione e le imprese – è necessario far riferimento alla legge speciale che regola la materia ossia il cosiddetto “Codice degli Appalti”. Questa legge è focalizzata soprattutto sulla fase precontrattuale e sulle gare pubbliche.
I contratti di appalto, infatti, pur non potendo far riferimento a una legge specifica, hanno tuttavia delle caratteristiche che meritano di essere elencate. Ciascuna di queste caratteristiche deve essere chiara a entrambe le parti e per questo viene inserita sotto forma di clausola contrattuale.
Subappalto
Il subappalto non è consentito a meno che non sia esplicitamente previsto dal contratto di appalto principale e si verifica quando al rapporto negoziale originario subentra un soggetto terzo. In quel caso viene realizzato un contratto di subappalto che è un contratto derivato dal principale.
La disciplina del subappalto pubblico ha subito con il Decreto legge n.77 del 2021 una profonda mutazione. Infatti con l’adozione di questo decreto legge la normativa italiana si è adeguata alla normativa europea per quanto attiene la percentuale di possibilità di subappalto nei lavori pubblici. Pur non volendo entrare nel merito di una questione molto complessa, è necessario in questa sede ricordare come sia stato eliminato del tutto il limite del 30% del subappalto su opere pubbliche.
La nuova previsione normativa quindi da la facoltà all’Ente committente di decidere quanta parte del contratto debba essere svolta necessariamente dall’aggiudicatario e quale percentuale possa invece essere affidata ad un subappaltatore.
Eventuali casi di risoluzione o recesso del contratto principale d’appalto si ripercuotono sul subappalto. Per questo è necessario stendere un buon contratto di subappalto che tuteli entrambe le parti e chiarisca responsabilità, indennizzi e penali in caso di controversie.
Risoluzione e recesso
L’appaltatore può dichiararsi adempiente agli obblighi contrattuali solo se l’opera è stata completata così come descritto nel contratto di appalto. Il pagamento, infatti, può avvenire solo dopo il collaudo della stessa. E il collaudo può essere svolto solo su un lavoro terminato.
Se l’opera non rispetta quanto richiesto nel contratto o se il lavoro consegnato presenta vizi o difformità l’appaltatore è considerato inadempiente. In questo caso si apre la strada per la risoluzione del contratto.
Quando si verifica una grave inadempienza il committente può agire contro l’appaltatore sia in sede stragiudiziale sia in sede giudiziale e ottenere la possibilità di pagare meno o di non pagare affatto l’appaltatore.
Rispetto all’inadempienza dell’appaltatore esistono due possibili conseguenze.
Se l’opera è solo parzialmente inadatta spetta all’appaltatore eliminare i vizi oppure concordare un nuovo prezzo del lavoro, più contenuto.
Se l’opera è completamente inadatta e non c’è possibilità di rimediare il committente può chiedere la risoluzione del contratto di appalto.
Esiste una via stragiudiziale di risoluzione dell’appalto; significa che non è necessario passare per una causa civile e quindi per il tribunale. Questa via può essere perseguita in tre modi
- Diffida ad adempiere. Quando l’appaltatore è inadempiente il committente può inviargli una lettera di diffida in cui lo intima di terminare i lavori entro una certa data (che non può essere inferiore ai 15 giorni). Passati questi giorni se l’appaltatore non ha eseguito i lavori, il contratto si risolve di diritto senza la necessità di passare per una causa civile
- Clausola nel contratto. Se il contratto prevede la risoluzione dello stesso in determinate circostanze e quelle circostanze si verificano non è necessario ricorrere in tribunale.
- Decorso del termine essenziale. Se il termine essenziale per la consegna dei lavori scade e l’appaltatore è inadempiente il contratto si risolve automaticamente.
Esiste inoltre la possibilità del recesso del contratto. In questo caso è necessario contemplare anche indennizzi, penali e risarcimenti da pagare.
A recedere può essere il committente. In questo caso dovrà pagare delle penali all’appaltatore per il lavoro e le spese sostenute fino a quel momento. Quando, però, la decisione di recedere è determinata da gravi inadempienze dell’appaltatore sarà quest’ultimo a dover pagare delle penali.
Anche l’appaltatore può recedere andando incontro alle penali previste nel contratto.
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